Storie di tutte le cose visibili e invisibili



mercoledì 28 maggio 2014

L'incubo del product placement

io invece ho un HP, per dire
Premetto che all'interno di questo post regalerò parecchia pubblicità aggratis.


Per chi non avesse mai lavorato nel Marketing, spiego brevemente di cosa stiamo parlando.

Il product placement è uno strumento attraverso il quale un'azienda promuove un proprio prodotto posizionandolo (a cazzo, ndr) in una scena di un prodotto cinematografico o televisivo, ovviamente a fronte del pagamento di un cospicuo corrispettivo. 
Per esempio, l'azienda XY che produce occhiali chiede, che ne so, a Vasco Rossi, di utilizzare i propri prodotti durante i concerti e/o interviste.
Il logo potrebbe anche non essere particolarmente visibile, ma in alcuni casi, credetemi, questo sistema ha un ritorno pazzesco.

Fin qua, tutto a posto.
Non elegantissimo, ma tant'è.

Quello che mi turba alquanto è l'utilizzo sempre più frequente di questo sistema nei film Italiani.
Usa anche negli Stati Uniti, eh, ma in maniera a mio avviso più discreta e pertinente.
Cioè, che Edward Cullen guidasse una Volvo tra una slinguazzata al collo di Bella ed un'azzannata ad un cerbiatto, aveva un suo perchè.

Quello che mi perplime innanzitutto è che marchi utilizzati in Italia sono sempre gli stessi, e mai pertinenti, creando francamente un impatto quantomeno straniante.
Fate attenzione quando guardate qualsivoglia commedia di Fausto Brizzi - e non solo - e noterete che non solo tutti si mettono le mutande di Intimissimi ma non fanno altro tutto il giorno che andarsele a comprare.

Altro prodotto che va fortissimo è l'acqua Lete.
La Matrigna, pur essendo donna colta e sofisticata (eccome no ...), rilassa spesso i propri neuroni biondi tramortendosi di fiction (unico requisito richiesto è che non ci siano Gabriel Garko e la Arcuri).
Nella seconda serie de "Le tre Rose di Eva" non solo c'erano bottiglie d'acqua in ogni dove, ma i protagonisti  bevevano talmente tanto che io c'avevo pure la cistite e mi veniva l'ansia.
Per non parlare dei dialoghi del tipo:
"Aurora, sono io il tuo vero padre. Tua madre è stata uccisa subito dopo la tua nascita e il corpo giace in soffitta mircolosamente intatto"
"Machedavvero? Spetta un attimo che ci ho una sete, lo vuoi un bicchierino di acqua Lete?"

La goccia (appunto) che ha fatto traboccare il mio vaso è stata un'agghiacciante recente scoperta.
Che tutto possono farmi.
Io accetto tutto.
Ma il Contorno Leggerezza di Orogel buttato a cazzo (aridaje) in ogni scena di "Un posto al sole", questo non lo accetto.
Non si scherza su "Un posto al sole", oh !!!

Detto questo, signori di Intimissimi, poichè anche io indosso solo le vostre mutande e non faccio altro tutto il giorno che andarmele a comprare, in considerazione della pubblicità gratuitamente concessavi in questo blog, contattatemi privatamente per ricevere i dettagli di spedizione delle prossime forniture.
 




 

giovedì 22 maggio 2014

Le parole per dirlo


E' un bel po' che ho pronto in bozza questo post, e rifletto sull'opportunità o meno di pubblicarlo.
A quanto pare, persino la malsana abitudine di mettere in piazza tutta la mia vita, dovrebbe avere dei limiti. Dettati non dal pudore, sentimento che sfortunatamente non conosco, ma dalla paura.
Non del giudizio, che pratico con orgoglio e quindi sono pronta a subire, ma della gestione dello stesso. Perché nonostante le apparenze sono una persona insicura. 
Seppure sicurissima dei miei pensieri, e di quella che sono. 

Lo pubblico lo stesso, perché io sola so cosa intendo dire e cosa provo e cosa ho provato. Perché questo blog è nato anche per dare voce ad una metà del cielo che parla poco. Perché ho bisogno di essere coraggiosa, e metterci la faccia, in un certo senso.
Perché la mia vita è solo mia, e mi guardo allo specchio ogni mattina e tutto sommato quello che vedo mi piace . Soprattutto con la messa in piega appena fatta ...

Forse avrei voluto fare cose diverse nella vita, ma la vita me ne ha portato altre, e comunque sia, spesso le scelte sono state mie, e se ho sbagliato, pazienza.
Perché il libero arbitrio è un dono terrificante e meraviglioso, che non dobbiamo sprecare.

Quando ho imparato a leggere (molto presto), il primo libro che mi sono fatta comprare è stato “Manuale di Puericultura”. Me lo ricordo ancora, con la copertina lucida e rigida e le illustrazioni a colori.
Ho nutrito, vestito, spogliato e curato schiere di biondissimi Cicciobello, ignorando le Barbie alle quali invece, adesso, tendo a somigliare.
Ho sempre pensato che avrei avuto figli, ai bambini in genere io piaccio molto, ma credo dipenda dal fatto che assomiglio ad una Barbie.

Comunque, alla fine è successo che di figli non ne ho avuti.
Perché quando incontravo qualcuno con cui volevo farli, quello mi lasciava oppure lo lasciavo io, o non ci pensavo proprio, o non facevo niente per evitarlo e non è mai successo.
Una diagnosi di infertilità risolvibile mi era bastata per distrarmi dal progetto.

Poi gli anni sono passati, e a me dispiaceva un po’, di non poter chiamare qualcuno Carolina o Pietro, e comprare vestitini taglia mignon, ma mi dicevo anche “per fortuna ...”. I bambini degli altri li sopporto sempre meno, la mia casa è troppo piccola, il mio conto corrente troppo in rosso, la mia vita ha troppa roba, e non ci sto dentro neanche io.
Ci sono tempi, e metodi, per tutto.

Succede poi che, superata da un bel pezzo la soglia dei 40 anni, per la prima volta in vita mia, scopro di essere incinta. 
Nel momento stesso, probabilmente, in cui ho smesso di volere figli.

Ho guardato quelle due righe rosa sul bastoncino del test e il mio primo - e unico - pensiero, è stato “ohcazzo”.
Ho pensato al mio reflusso gastrico e all’ernia dorsale. Ho pensato alle vacanze di Giugno saltate, al mio fidanzato, ai suoi figli.
Io che volevo solo la mia vita, piena di me, dei miei genitori che sono troppo vecchi per fare i genitori e figuriamoci i nonni, del mio lavoro assolutista e mal retribuito.
Ci ho pensato, con l'ansia allo stomaco, e sono andata in palestra a fare un’ora di step.

Non ho pensato ad altro, a dire il vero, per 10 infiniti giorni.
Ricordo solo che ero infelice, terribilmente angosciata e - soprattutto - assurdamente gonfia.
Sono stata male da subito.
E ho subito detestato quello che istintivamente si dovrebbe chiamare fagiolino o pesciolino o farfallina, e io chiamavo scorreggia, tanto per farvi capire.
Non lo volevo, e non lo vorrei. Non so da dove derivi questo rifiuto, e non mi interessa indagare, perché sull'argomento ho poche certezze ma molta lucidità.

Poi, dopo due giorni di Aulin e una festa della mamma più fastidiosa del solito, sono finita al Pronto Soccorso. Era un 9 Maggio pieno di sole.

Di quel giorno ricordo che tutto come fosse ieri.
Io che mi sforzavo di infilare qualcosa di sensato in una borsa, piegata in due dai crampi. Il mio fidanzato che mi aiutava a vestirmi, e mi ha passato un maglioncino lilla e le scarpe da ginnastica dello stesso colore.
E prima di uscire per andare in ospedale ha infilato nella mia borsa il libro che avevo sul comodino.
Mi commuovo ancora, al pensiero di questo atto d’amore.
All'Ospedale mi hanno accompagnata in reparto, e mi sono piazzata istintivamente di fronte all’ambulatorio di Ginecologia. 
Un’infermiera mi ha detto “Signora ma lei deve andare nell'ambulatorio della Maternità, non è in gravidanza?” e io ho risposto “No”. 
Per dire, la consapevolezza.

Aborto Spontaneo.
Non ho dovuto decidere io.



Al resto, non ci penso quasi mai.
Solida, risolta.

Però - ogni volta che passiamo davanti a quell’ospedale - ci stringiamo la mano in silenzio, senza guardarci, e premiamo sull’acceleratore dell’auto, scappando da quel ricordo, anche se per motivi diversi.