Storie di tutte le cose visibili e invisibili



mercoledì 16 aprile 2014

Quel che resta del Paradiso



Non starò qui a tediarvi con immagini da cartolina e recensioni dettagliate che – peraltro – ho già pubblicato su Tripadvisor.
Per chi non lo sapesse, sono appena tornata da una vacanza in uno di quei luoghi che ti dicono “almeno una volta nella vita ci devi andare” e tu pensi “sai invece tu in quale luogo ti manderei, tutti i giorni?”, ma non lo dici perché sei educata.

Vi dirò solo che almeno uno volta nella vita ci dovreste andare.
E che io mi sono meritata questo regalo, e soprattutto che devo smettere di giustificarmi con me stessa e con gli altri, ma questo è un problema mio e ci sto lavorando da un ventennale, senza successo.

Di questo viaggio mi restano, oltre che una vergognosa abbronzatura, alcune riflessioni.

-      Gli Asiatici in vacanza sono fantastici.
Intanto, sono ricchissimi. Per intenderci, nelle overwater da 8.000 Euro ci stavano solo loro, e popolavano l’80% del resort
Si muovono a coppie (anche giovanissimi: io a 20 anni è già tanto se andavo in campeggio al Cavallino, per dire) o in branco, con nonni, figli, nipoti, amici.
Bevono alcolici tutto il giorno che manco i Russi, e impazziscono per i balli di gruppo.
Fotografano SEMPRE e TUTTO.
Ma quando dico SEMPRE, intendo dire SEMPRE. E se non fanno foto, fanno video. Con una mano reggono la macchina e con l’altra seguono  la coreografia del capovillaggio.
Fotografano qualsiasi cosa, e per ogni scatto possono lavorare anche un’ora.
Il selfie di coppia con lui che regge la digitale e lei dietro che salta, l’ho visto provare per una giornata intera.
Non stanno in spiaggia, se non vestiti da palombari e con l’ombrello, e fanno il bagno solo in riva e con il salvagente.
Stanno sempre al bar, o in piscina.
Quindi la spiaggia era deserta.
Da questo, se ne evince che Dio esiste, e io ne ho prove.

-      I paguri esistono veramente, e sono migliaia.
Sono di una bellezza commovente, e quando si trovano tra di loro, zac che scatta l’ammucchiata.
Giuro che ho fotografato un trenino dell’amore (o una gang bang, non saprei dire), peccato che è venuta sfocata.
Anche le conchiglie esistono veramente.
Non ho resistito e ne ho portate a casa qualcuna.
Con un po’ di sabbia color farina.
Ho messo tutto dentro il sacchettino bianco di plastica che c’era nel bagno per gli assorbenti da signora. Sembrava un enorme ovulo di cocaina.
Sono partita per tornare a casa con l’assoluta certezza che la dogana mi avrebbe rinchiusa nelle carceri locali, tipo Bridget Jones, che poi dovevo barattare il reggiseno Intimissimi e le poche sigarette rimaste.
Mi è andata liscia.
Da questo, se ne evince che Dio esiste, e io ne ho prove.

-      Mi si è fottuta la macchina fotografica il secondo giorno.
Cioè, tu fai l’unico viaggio della vita, e ti si rompe la macchina fotografica.
Ma per fortuna da qualche mese ho comprato un fonfon (lo smartphone).
Da questo, se ne evince che Dio esiste, e io ne ho prove.

-      Sono partita con una valigia delle dimensioni di un Boeing 737 carica di farmaci.
Non devo spiegarvi perché.
Ho mangiato pesce crudo, qualsiasi tipo di alimento Cinese, cipolla e cibi pesantemente contaminati dai peperoni.
Ho bevuto sempre bevande ghiacciate e pasteggiato a Negroni.
Sono passata dai 5 gradi di temperatura di un fottuto volo intercontinentale ai 40 percepiti e ritorno.
Ho sempre fatto il bagno appena mangiato.
Dormito con il climatizzatore sparato in faccia.
Eppure, non ho preso NEANCHE una pastiglia. Neanche una leccatina alla bustina di Aulin. Niente di niente.
Mi è venuta la diarrea appena ho rimesso piede in ufficio, ma questa è un’altra storia.
Ah, per la prima volta in 45 anni, non mi è venuto il ciclo appena atterrata a destinazione, ma appena rientrata a casa.
Da questo, se ne evince che Dio esiste, e io ne ho prove.

-      Al limite massimo dalla stagione monsonica, abbiamo avuto solo 2 ore di pioggia in tutta la settimana.
Io, che le mie ultime vacanze al mare ho dovuto comprarmi una tuta in pile perché ci stata una media di 17 gradi. Ed era Agosto.
Da questo, se ne evince che Dio esiste, e io ne ho prove.


lunedì 14 aprile 2014

Storia di Tommaso


Tommaso lo immagino con i capelli biondissimi e gli occhi di cenere.
Che profuma di vaniglia e borotalco, soprattutto tra le pieghe del collo, come tutti i bambini del mondo.
E’ nato qualche giorno fa, in un Paese lontano.

Tra poco arriverà in Italia in aereo, dopo un lungo viaggio, per posarsi con grazia in una piccola città adagiata tra il mare e le colline, con un centro storico che sembra una bomboniera, dove c’è un meraviglioso teatro, qualche negozio, un’edicola, non molti abitanti, tutti vocianti e bizzarri.
A mio avviso son tutti un po’ matti, in quella città. Infatti li adoro tutti.
E’ una città che la giri tutta a piedi, e saluti tutti, e ridi tantissimo.

Il viaggio di Tommaso è iniziato molti anni fa.
Da due persone che si amano. E che avevano un sogno.
E hanno deciso, con fatica e dedizione, che quel sogno sarebbe diventato vita vera.

E’ un viaggio che inizia con un viaggio.
Con molti incontri.
Un viaggio d’amore.

Tommaso è un bambino fortunato.
Crescerà circondato da una rete d’amore infinita, perché l’amore chiama l’amore, e lo moltiplica.
E avrà due passaporti, e forse due cognomi.

Non so dire se sarà un bambino - e poi un adulto - felice.
Perché avrà il suo destino, come tutti noi, e farà le sue scelte, e alcune gli saranno imposte, e per altre deciderà da solo.
E incontrerà il bene e il male e imparerà a cadere sette volte, e a rialzarsi una volta di più.

Un detto Africano dice: “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”.
Tommaso ce l’ha, un intero villaggio, e tantissimi amici, nonni, zii (di cui uno con un nome da cane), cani (di cui uno con un nome da zio), mucche, gatti, galline, e una grande casa con tutte le porte spalancate.

Tommaso ha due genitori, innamorati tra di loro e di lui.
Che sono anche amici miei.
Io li amo, e mi fido di loro.
Parlano di bambini da quando li conosco. Da sempre.
Da quando eravamo molto giovani e un po’ sciagurati, e andavamo in discoteca a guardare i culi nudi dei cubisti. Adesso io non sono più giovane, e loro non sono più sciagurati (ma ancora giovani).
Non hanno mai smesso di parlare di bambini, mentre io - per capirci - non ho mai cominciato.

I genitori di Tommaso si chiamano Stefano e Massimo.
E non credo di avere mai conosciuto nessuno tanto felice.



(A tutela della privacy del bambino e della sua famiglia, i nomi contenuti in questo racconto sono puramente di fantasia.
Anche se i veri Stefano e Massimo ci metterebbero tranquillamente i nomi e la faccia, perché ci hanno messo quella, e tutto il resto. Sempre.

La storia invece, è meravigliosamente vera. La racconta un’orgogliosissima Zia Tessy, che non vede l’ora di stringere Tommy tra le braccia, e infilare il naso tra le pieghe morbidose di quel collo profumato).