Storie di tutte le cose visibili e invisibili



venerdì 21 febbraio 2014

Essere genitori, in qualche modo


Non so se vi è chiaro il concetto, ma io non sono mamma.
Ero innamorata del mio Cicciobello e quando tutte le bambine del mondo sognavano un futuro da ballerina o principessa, io volevo fare la puericultrice.
Ma poi è successo che sono cresciuta, e ho deciso che bambini anche no, grazie.
Un po’ l’ho deciso, un po’ la vita ha deciso per me, ma poco importa.
Molte donne guardano a noi childfree con bonaria accettazione, pensando che la rinuncia alla maternità sia in fondo una patologia e non una vocazione.
Del tipo, prima o poi se ne pentirà, e allora sarà tardi.
Magari per qualcuna è così, ma per qualcun’altra, credetemi, no.
E anche se fosse così, le più o meno inconsce dinamiche emotive che spingono a riprodursi possono essere, talvolta, altrettanto riprovevoli.

Io forse i figli li volevo, ma ad un certo punto la vita ha iniziato a starmi talmente stretta che ho capito che non ci sarebbe stato più posto, ne’ energia.
Penso che la maternità sia un diritto, non un dovere.
Penso che i figli si dovrebbero fare in due, e se uno dei due non li vuole, sarebbe opportuno capire se sia meglio cambiare partner o progetto.
Penso tantissime cose a riguardo.

A casa dei miei genitori ci sono sempre stati cani.
Sempre tutti della stessa razza, Kurzhaar, che poi sarebbe un Bracco Tedesco a pelo corto, un cane da caccia, insomma.

Molti cani si sono succeduti nella mia vita, quasi sempre almeno 2 o 3 alla volta.
Ad un certo punto, dopo che sono andata via di casa, ho sviluppato un’istintiva forma di distacco affettivo, del tipo “sì che carini i cani, stanno bene? Ah no? Che peccato …”
Cioè, se sta male un familiare io mi faccio venire la cistite che dura un anno, se posso evitare le ansie pure per i cani, meglio.
Credo sia istinto di sopravvivenza.

Qualche settimana fa ho accompagnato mio padre a scegliere un nuovo cucciolo. L’ho accompagnato solo per evitargli la strada in macchina, in verità, e ho sbuffato pure parecchio.
Fatalità, la notte precedente era morto improvvisamente uno dei due cani che già avevamo.

E tu arrivi in questo allevamento, ed esce una cucciolata di 8 quadrupedi di 8 settimane di vita, che si arrampicano sulla rete e giocano tra di loro, si rincorrono con quelle zampette tozze, ti leccano la faccia e ti guardano con il muso sbilenco.
E già sei innamorata.
Così, in partenza.



Dopo due settimane, siamo andati a prenderlo.
Abbiamo aspettato che fosse sufficientemente grande da potersi staccare naturalmente dalla mamma.
E io ho sbuffato pure di più della prima volta (cheppalle è domenica e voglio dormireeee).

Ma poi.
Degli 8 cuccioli iniziali, ne erano rimasti solo due.
Ho visto la mamma andare a salutare quello che avevamo scelto, una veloce e apparentemente indifferente leccata. Secondo me, aveva capito.
L’ho preso in braccio, quel puzzone, e tremava di freddo e di paura, nonostante le carezze e le rassicurazioni.
Lo abbiamo messo nel trasportino, perché in macchina non si facesse male.
E lui ha iniziato a piangere. Giustamente.
I primi 10 minuti in auto sono stati uno strazio.
Il cucciolo nel bagagliaio che abbaiava incazzato nero.
Io che dicevo: no dai fermiamoci vi prego, io me lo tengo in braccio.
Dopo 10 minuti, appena entrati in autostrada, il silenzio.
Improvviso.
Come tutti i neonati che si rispettano, se li porti in autostrada smettono di piangere e si addormentano.
Dopo un’ora e mezza di strada temevo fosse morto.
Ma quando siamo arrivati a casa e abbiamo aperto bagagliaio e trasportino, si è svegliato e si è guardato intorno con l’espressione smarrita, tutto raggomitolato e sbadigliante.

Mi ha guardato e mi è volato in braccio.
Lo abbiamo portato a conoscere la cagnona di 7 anni, ancora in lutto per l’improvvisa scomparsa del suo fratellone.
Strappa il cuore vedere un cane che guarda verso la cuccia vicina, in attesa che il suo compagno di scorribande ricompaia, come faceva ogni giorno.

Li abbiamo messi insieme, nella stessa cuccia, perché il cucciolo è ancora troppo piccolo e non è abituato a stare da solo.
La povera cagnona si è trovata improvvisamente travolta da questo nano peloso che infila i suoi dentini aguzzi come spilli in qualsiasi ostacolo trovi davanti a sé, orecchie, code, tavole di legno, mani, pantaloni.
Si chiama Bruce, ma gli starebbe bene Edward, come Edward Cullen.

Il primo giorno non ha mangiato nessuno dei due, e anche noi siamo stati piuttosto in ansia.

Ora sembra andare meglio.
Il cucciolo si è abituato subito, non ha mai pianto.
Dopo la pappa, mugola un pochino, come tutti i neonati che hanno sonno, poi si trascina dentro la cuccia e si mette a dormire.

Io vivo incollata al telefono per sapere se mangia, se dorme, se fa la cacca.
A proposito, fa la cacca e poi ci cammina sopra.
E poi ti si arrampica ovunque.
Inutile dirvi che il numero delle mie lavatrici è aumentato in maniera spropositata.

Comunque, tutto questo per dire che la scelta (scelta) di non fare figli è stata la più intelligente della mia vita.
I familiari sani di mente (ora che ci penso non credo di averne) avrebbero preteso il TSO e sarei qui a succhiare ansiolitici dal mattino alla sera.

martedì 11 febbraio 2014

A house to call home



Di tutte le case in cui ho abitato (6) è quella che ho rimosso.
Ci ho vissuto con i miei genitori in un arco di tempo vago, che raccoglie la mia adolescenza e la prima giovinezza.

Ci sono legati solo ricordi di dolore.
La fuga dalla casa di mia nonna, il trasloco fatto quasi di nascosto, quel saluto glaciale e rancoroso e triste.
Gli esami di riparazione in terza superiore.
Le tonsilliti con il febbrone, l’infiammazione al trigemino dopo l’estrazione del dente del giudizio.
La corsa dal veterinario con il cucciolo di cane morso sulla testa.

Ho sempre avuto un sogno.
Solo uno.
Quello di avere – un giorno – una casa solo mia.
L’unico sogno della mia vita, non sono stata in grado di affrontarlo, di renderlo possibile.
Mi posso a malapena mantenere in una casa in affitto, arredata da altri con quel perverso cattivo gusto che non ha neanche più l’alibi del low cost (volendo puoi fare miracoli anche con Ikea).


Improvvisamente mi è venuta un’illuminazione.
Quella casa così odiata, così lontana, aveva un potenziale enorme.

Strada secondaria e poco trafficata, grandi finestre sul giardino, gli infissi all’Inglese, l’albero di ciliegio che diventava nuvola a Maggio.

Sarebbe potuta diventare cosi.
Vi faccio un caffè?